18.9.06

I pericoli di una crociata

di Adriano Sofri

Davvero il Papa è inciampato senza volere in quella citazione bizantina? Eskandalon, in greco, vuol dire questo: la pietra in cui si inciampa. Oportet, o no, che gli scandali avvengano? Secondo il Vangelo, è comunque inevitabile. Guai a chi li provoca, e se poi gli offesi sono i bambini, meglio sarebbe a chi li ha scandalizzati finire nell’ abisso del mare con una macina da asino al collo.
Ecco una prima, incresciosa domanda: i credenti musulmani, e le loro guide, vanno trattati come se fossero dei bambini? Non nel senso dell’ avviso evangelico, che senza farsi piccoli come i bambini non si entrerà nel regno dei cieli: ma nel senso di una minorità che impedisca, per ora, di sapere e capire.
Tutti vedono come lo scandalo che sta per divampare sia, senza paragone più drammatico, la ripetizione di quello delle vignette blasfeme. A quel tempo pensai che una vicenda così grottesca e dalle conseguenze così enormi - devastazioni e morti - fosse dopotutto, passatemi la parola, provvidenziale, a mostrare a che filo irrisorio fosse legata la convivenza fra i modi di vita, la pace del mondo. E quale pretesto potesse fare da scintilla alla furia che preme sotto la pelle del pianeta.
Altro che diritto alla satira, altro che valutazione della migliore o peggior qualità delle vignette: c’ era un’ idea di normalità e di libertà opposta a un’ intolleranza aggressiva. La si volle esorcizzare con quella ipocrisia prudente: tener conto della sensibilità, meglio, della permalosità dei musulmani. (Infatti ormai abbiamo dimenticato quella bella nozione secondo cui esistono tanti islam quanti sono i musulmani, e li trattiamo all’ ingrosso, e nella versione più rigida).
Oltretutto è il momento di ripensarci, alla guerra mondiale per le vignette, mentre è aperta a Teheran la mostra-concorso mondiale per le più belle caricature antisemite. Un nuovo capitolo che ripercorra il copione - sdegno dei portavoce, intimazione a chiedere scusa, mobilitazione delle piazze, votazioni di consessi religiosi e politici, assalti a luoghi simbolici e persone - sostituendo ai disegnatori danesi il Papa: ecco la misura vera dell’ orlo sul quale ci sporgiamo.
Ancora più grottesco, se si ricordi che alla vigilia il Papa aveva sorprendentemente dedicato a quell’ episodio apparentemente placato, le vignette «blasfeme», una deplorazione del «dileggio del sacro» diffuso nel nostro mondo. Ora lo scandalo è avvenuto: vedremo quali confini saprà darsi, ma è chiaro fin da ora che il passo più triste sarebbe un mea culpa della Chiesa, o qualche suo pasticciato equivalente.
E’ escluso, per chiunque abbia la testa sulle spalle, che il Papa si sia proposto di suscitare una simile reazione, o anche l’ abbia soltanto messa nel conto. Questo mostra oltretutto che enorme distanza separi quello che agli uni sembra naturale e logico da quello che ad altri suona sanguinosamente oltraggioso. La risonanza (quella voluta e quella non voluta e ora deprecata) del viaggio tedesco conferma che mentre di Giovanni Paolo II contava soprattutto il carisma personale, del suo successore contano di più le parole.
Chi diceva le cose, in Wojtyla, che cosa dice, in Benedetto XVI. In due giorni successivi, a Monaco e a Ratisbona, il Papa ha detto (sulle interpretazioni ci si divide) due cose diverse e forse contrastanti. (Quella che segue è una mia liberissima ricapitolazione). A Monaco, che la concordanza fra i credenti nelle fedi monoteiste è un bene cui deve piegarsi lo stile di vita che espelle Dio e gioca con la relatività dei valori.
A Ratisbona, che c’ è una incolmata differenza tra religione cristiana (anzi, più esattamente, cattolica) e musulmana, che la combinazione fra fede e ragione che nutre l’ amore cristiano è incomparabile con il Dio inafferrabile e arbitrario che ispira la soggezione islamica. La citazione di Manuele II Paleologo, durissima com’ è, è tuttavia quasi un incidente nell’ argomentazione di Ratzinger, che sembra avere d’ occhio soprattutto l’ Europa.
La nostra ragione sa riconoscere la razionalità della natura, e questo è il fondamento della scienza; e sa riconoscere la razionalità di Dio. Noi siamo a immagine di Dio, il Dio dell’ islam è, alla lettera, inimmaginabile. Non possiamo figurarlo, e nemmeno figurarcelo. Capovolta, questa constatazione significa che il nostro Dio è fatto a nostra immagine, e dunque la nostra fede può essere razionale, anzi, come al Papa piace insistere, «ragionevole». Il Dio inimmaginato dell’ islam si nega alla ragionevolezza umana, e pretende solo obbedienza: ciò che può tradursi nell’ arbitrio dei suoi stessi fedeli, magari in una aggressività conquistatrice.
In questo «secondo discorso» - conterà anche che questo sia pronunciato in una università, l’ altro fosse l’ omelia durante una messa - il dialogo fra credenti e non credenti, eredi comuni del pensiero ebraico, greco, cristiano, illuminista, è infinitamente più ricco e favorito che non la comunanza obiettiva fra i credenti delle grandi fedi monoteiste.
Il centro del «secondo discorso» sta, mi pare, nella ripresa della vexata quaestio delle radici dell’ Europa, qui così pianamente allargata ad accogliere l’ ellenizzazione e lo stesso illuminismo ben temperato. Al punto che ci si chiede se una svelta Costituzione europea, invece di accapigliarsi sulle radici, non farebbe bene a formulare una dichiarazione di principii, una «carta di valori» desunta da quelle tortuose e robuste radici: siamo anche noi infantilmente permalosi, infatti.
Il «secondo discorso» del Papa è notevole e bello, tanto più per chi non riesce a immaginare una ricapitolazione organica di qualche millennio di storia umana, con un capo e un fondo, incapacità, o riluttanza, che ha a che fare con molti fattori, e anche essenzialmente con l’ assenza di Dio: la dichiarazione della morte di Dio richiese anche un pensiero e una prosa frammentari.
Se la mia lettura è verosimile, si capisce che il passaggio, benché così pregnante e puntiglioso, sul retaggio di Maometto, valesse soprattutto a mettere in più chiara luce l’ itinerario del cristiano e cattolico e della sua Chiesa romana (e della sua prossimità alla ortodossa); e che il Papa non si aspettasse, e tanto meno si augurasse la risonanza che, estratto dal suo contesto e diramato dalle agenzie dell’ intero pianeta, quel passo avrebbe avuto, fin nelle strade di Islamabad. Però è successo.
E se il Papa ha un’ influenza terrena, sebbene non così decisiva, come amico e fautore della pace e della fraternità, ne guadagna immediatamente una doppia come nemico: mancando lui solo, finora, alla trama dell’ inimicizia irriducibile concentrata nella «crociata» sionista e americana. Gli ingredienti della «crociata» sono andati tutti al loro posto, fino al capo romano.
Il leader di Hamas, Haniyeh, improvvisato teologo, ha avvertito ieri che il Papa è sempre stato sionista, e ha chiamato i suoi a scendere in piazza. Che cosa questo possa diventare nei luoghi di intolleranza, di persecuzione e di martirio - il martirio della testimonianza inerme, non il suo abuso assassino e suicida - vedremo: e vedremo fino a che punto i capipopolo islamisti vorranno sciogliere le briglie alle loro folle. E’ già successo dopo la deliberata «scoperta» delle vignette.
Lo scandalo, dunque: ce n’ era bisogno? Era evitabile? E che cosa farne, cercare di sopire e ridurre i danni, o inaugurare un diverso confronto con l’ islam, con gli islam? Come per un qualunque direttore di giornale al tempo delle vignette, sono in molti oggi a rimproverare al Papa una imprudenza, un fraintendimento del suo ruolo di Papa, cui non è concesso di parlare come un professore di teologia. Il fatto è che i professori di teologia ne parlano assai poco.
Alcuni, fra quelli che ci sono più simpatici, abitando in partibus infidelium, o comunque in periferia, come Hans Kung, sono persuasi che un Dio valga l’ altro, e comunque di un’ identità di Dio indipendente dalle sue diramazioni. Un Dio che ordini il proselitismo armato, che vieti il libero pensiero o la conversione come apostasia, che contenga tutto lo scibile e tutta la speranza del mondo nella lettera della sua rivelazione, è uguale solo a se stesso. Del resto, il Dio cristiano non è lo stesso nel tempo, e nel suo nome si è molto peccato: ma il suo legame col tempo è una differenza, oggi decisiva.
Il fatto è che il rispetto - o, quando è giusto, anche l’ aperta ammirazione - per l’ islam, si muta troppo spesso nella cautela e nell’ opportunismo con cui si trattano i bambini, e per di più dei bambini che hanno rubato il coltello da cucina. Benedetto XVI a Regensburg si è comportato un po’ come il bambino che vede il re nudo: può succedere anche ai Papi e agli ottuagenari.
Quante sono le autorità religiose o civili che abbiano voglia, o coraggio, per dire che certe convinzioni «religiose», come quelle che fanno credere agli assassini suicidi che il paradiso li attenda, sono ridicole assurdità? Ce ne sono di più, e a quale rischio, nel mondo islamico che nel nostro: una campagna di pubblicità progresso sarebbe inutile? Offensiva? Oriana Fallaci, a modo suo - davvero solo suo - l’ ha fatta. Non ci sono altri modi? Invidiare il senso del sacro, che sopravvivrebbe così tenacemente in certi popoli, fino a escludere come innaturale (e castigare) una scelta agnostica o atea, ha senso?
Anche la Chiesa cattolica si è rassegnata a lungo all’ idea che un’ alleanza fra le religioni la garantisse: qualcosa di non così dissimile da una Yalta delle confessioni. Non si può più fare. Lo impedisce «il grande abuso del nome di Dio». Lo scandalo che noi senza Dio provochiamo negli occhi dei musulmani (di quei musulmani) non sta solo in noi, ma nei loro occhi. Compiacersi di dare scandalo è ignobile; farsene zittire non lo è meno. E’ vero che ogni nostra conquista - di noi «occidentali» - è avvelenata dal suo complemento di perdita, debolezza, umiliazione di altri. Ma le cose cui impariamo a voler bene, la libertà delle donne, il rispetto per i bambini, la premura per le esistenze deboli e offese, sono il dono migliore che possiamo fare al nostro prossimo.
Fra queste cose migliori c’ è, a un tal punto di naturalezza da renderla inavvertita, la convivenza, l’ amore, la condivisione, fra credenti e non credenti, dentro le stesse famiglie. L’ espressione «teocon» è buffa, ma la dichiarazione di Oriana Fallaci: «Sono un’ atea cristiana», era bella. La conversazione ecumenica, gli incontri di Assisi, dovrebbero riuscire, mi permetto di dire, a considerare quelle cose migliori non come temi così delicati da urtare la suscettibilità degli interlocutori e consigliarne la dilazione sine die, ma come regali offerti loro. Penso che sia una condizione per sventare la bellicosità di chi dà già per persa la partita. La partita è sempre già persa: dunque si può sempre giocare.
A chi incita alla guerra contro la guerra santa, vorrei suggerire un pensiero troppo ovvio per essere pensato. Che della guerra santa la parola più tremenda non è santa: è guerra.

1.9.06

La Veronica di Manoppello

Oggi il papa Benedetto XVI ha fatto visita alla Veronica di Manoppello. Egli ha sostato in preghiera di fronte alla famosa reliquia.

Visto l’impossibilità di dare un minimo di credibilità storica e scientifica alla suddetta reliquia, si preferisce qui ricordare le parole di Benedetto XVI sul rischio di degradazione delle montagne.

Per il resto, è questione di fede.