11.8.06

Cosa significa pensare

Si può arrivare a capire che cosa significhi pensare solamente quando siamo noi stessi a pensare e per poter arrivare a pensare dobbiamo essere pronti e ben disposti ad immergerci in questa attività che più di ogni altra ci distingue dalle fiere; proprio come loro, anche noi abbiamo un corpo, anche noi proviamo degli impulsi biologici, anche noi viviamo: ma ciò che solo noi possiamo fare e anzi dobbiamo fare, per porci su un gradino incommensurabilmente superiore, è pensare, interrogarci su ciò che ci circonda e, soprattutto, sulla nostra esistenza, che schizza via in ogni istante ed è incontenibile tanto più si cerca di capirla, proprio come l’acqua ci sfugge da ogni parte quando proviamo a stringerla in mano.

Nel pensare risiede la dignità degli esseri umani e, a maggior ragione, non dobbiamo far finta di niente, perché come uomini la questione ci riguarda tutti: e il pensiero padre di tutti gli altri è quello filosofico, poiché tenta di interpretare la realtà, nella quale a pieno titolo rientrano tutte le altre forme di pensiero (la matematica, la fisica, la storia, ecc.); la filosofia è al di sopra di ogni altro pensiero perché non si limita al tentativo di illustrare il funzionamento della realtà, ma tenta anche di spiegare perché la realtà proceda in quel modo e nel far ciò fa leva sulla ragione, cioè sulla facoltà che più di ogni altra è tutta nostra: la fisica prova ad interpretare il mondo, la religione prova a motivarlo avvalendosi di espedienti extra-razionali; la filosofia, dal canto suo, prova a interpretarlo e a motivarlo basandosi esclusivamente sulla forza della ragione, poca magari, incapace di gettar luce su ogni cosa, ma tanto più apprezzabile se si tiene in considerazione che è l’unico baluardo conoscitivo di cui disponiamo, l’unico faro a cui far riferimento nel nostro percorso.

La filosofia rifugge dai postulati e in ciò risiede la sua grandezza: non accetta nulla per scontato, nè che per due punti passi una sola retta né che il mondo esista o sia stato creato da Dio; non solo prova a risolvere problemi, ma ne solleva anche di sempre nuovi, senza mai accontentarsi dei provvisori traguardi cui è pervenuta. Ogni volta che chiarisce un problema, quasi per insoddisfazione, apre nuovi fronti, semina nuovi dubbi e subito si getta a capofitto per risolverli. Ed è proprio nella capacità di seminar dubbi più che di raccogliere certezze che si rivela diversa da ogni altra disciplina: solo partendo dai dubbi e sollevandone di sempre nuovi si potrà giungere a qualche fioca certezza; se si parte da certezze si fanno conquiste che poggiano su fondamenta instabili, poiché come assolutamente certo non bisogna prendere nulla, ma bisogna muoversi con circospezione e con assennatezza, vagliando ogni singola ipotesi con la propria ragione, senza credere, ingenuamente, che la verità stia sempre e solo da una parte.

Ma la filosofia ha, secondo me, il dovere di interrogarsi sulla realtà di ogni giorno, per provare a risolvere questioni pratiche, senza avvitarsi su riflessioni sganciate totalmente dal mondo che ci circonda; una filosofia che invece scivolasse nei meandri dell’astrattismo più radicale e si scatenasse in fantasmagoriche descrizioni di realtà che non sono quelle umane andrebbe respinta con impeto, in quanto l’uomo è pensiero calato nella materia e deve pertanto tenere sempre conto del mondo materiale di cui è parte integrante e deve provare a conferirgli una chiave di lettura accessibile a tutti gli altri uomini. Proprio in questo risiede la specificità del pensiero filosofico: nel sollevare dubbi (e nel provare a risolverli) su tutto ciò che riguarda l’uomo e le sue realizzazioni. Pertanto la filosofia non è un sapere autonomo, dotato di suoi oggetti specifici e inaccostabili a quelli delle altre discipline: tutti gli altri saperi sono anzi suoi figli, in quanto tutti mirano, in diversi modi e dietro maschere differenti, a raggiungere un barlume di sapere in diversi campi e la ricerca del sapere è prerogativa peculiare della filosofia.

Può poi anche chiarire le altre discipline e i loro oggetti: la matematica lavora coi numeri senza, propriamente, chiedersi che cosa siano; spetta alla filosofia condurre un’indagine sulla loro essenza e sul loro significato, tanto più che se non si provasse filosoficamente ad interpretare il significato dei numeri, che senso avrebbe la matematica? Ma la filosofia può anche essere intesa come un ponte di raccordo tra le altre discipline, come un punto di riferimento costante a cui volgere lo sguardo quando ci si sente disorientati: la fisica legge il mondo in termini matematici, ma è solo la filosofia che può chiarire (o almeno avanzare delle ipotesi) il perché.

Questi sono alcuni dei tanti motivi per cui vale la pena sottoporsi all’insegnamento della filosofia, insegnamento che però non deve essere impartito come filastrocca mnemonica dei vari filosofi né come un oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una verità definitiva. Proprio per questo lo studio dei vari filosofi va presentato come modello di pensiero a cui ispirarsi, non come verità indiscutibile dalla parte della quale schierarsi fanaticamente e fare il tifo, tanto più che la maggior parte dei sistemi filosofici elaborati nel corso della storia, letti in trasparenza con il senno di poi, risultano rigurgitanti di errori; se un matematico o un fisico commettono un errore nell’elaborazione di un teorema sono destinati ad inabissarsi sui fondali dell’oblìo, mentre ancora oggi si continuano a studiare filosofi i cui sistemi sono traboccanti di errori, ma il cui merito risiede appunto nell’essersi sforzati di conferire un senso al mondo intero, spiegandone i motivi e le modalità.

La filosofia non va dunque intesa come un mero arricchimento culturale, come uno strumento per pavoneggiarsi tra saccenti, ma, viceversa, deve essere un mezzo per incentivare e propagandare il pensiero, per dare spunti per la riflessione, per far nascere nuovi individui che non si riducano a fare il tifo per Kant piuttosto che per Hegel, ma che provino a dare nuove interpretazioni del mondo, tenendo conto delle riflessioni e degli errori di Kant e di Hegel e, in generale, degli altri filosofi del passato. Naturalmente, poiché tutti gli uomini in quanto uomini dispongono della facoltà del pensare, forse la più piacevole tra quelle di cui siamo dotati, è bene che tutti abbiano la possibilità di entrare in contatto con la filosofia, la quale non deve dunque essere intesa come attività riservata a pochi eletti, ma come prerogativa di ogni uomo, poiché ciascuno di noi, a modo suo, è filosofo e agisce nel mondo ispirato da una propria e personale concezione della realtà. Insegnare a pensare, probabilmente, è impossibile: la prova forse più lampante di questa asserzione è rintracciabile nel fatto che buona parte delle persone che escono dalle scuole sono totalmente incapaci di pensare con la propria testa, mentre uomini che non hanno mai avuto modo di frequentare gli ambienti scolastici e i professori preposti all’insegnamento sono in grado di formulare pensieri di straordinaria profondità.

Il professore di filosofia, pertanto, non può insegnare a pensare, ma può suscitare l’interesse a pensare, può, facendo accostare gli allievi alle grandi riflessioni della storia, indurli a volersi interrogare su ogni cosa. In altri termini, con la facoltà del pensiero ci si nasce, la si può solo affinare e a questo servono i professori.

(da filosofico.net)

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