18.9.06

I pericoli di una crociata

di Adriano Sofri

Davvero il Papa è inciampato senza volere in quella citazione bizantina? Eskandalon, in greco, vuol dire questo: la pietra in cui si inciampa. Oportet, o no, che gli scandali avvengano? Secondo il Vangelo, è comunque inevitabile. Guai a chi li provoca, e se poi gli offesi sono i bambini, meglio sarebbe a chi li ha scandalizzati finire nell’ abisso del mare con una macina da asino al collo.
Ecco una prima, incresciosa domanda: i credenti musulmani, e le loro guide, vanno trattati come se fossero dei bambini? Non nel senso dell’ avviso evangelico, che senza farsi piccoli come i bambini non si entrerà nel regno dei cieli: ma nel senso di una minorità che impedisca, per ora, di sapere e capire.
Tutti vedono come lo scandalo che sta per divampare sia, senza paragone più drammatico, la ripetizione di quello delle vignette blasfeme. A quel tempo pensai che una vicenda così grottesca e dalle conseguenze così enormi - devastazioni e morti - fosse dopotutto, passatemi la parola, provvidenziale, a mostrare a che filo irrisorio fosse legata la convivenza fra i modi di vita, la pace del mondo. E quale pretesto potesse fare da scintilla alla furia che preme sotto la pelle del pianeta.
Altro che diritto alla satira, altro che valutazione della migliore o peggior qualità delle vignette: c’ era un’ idea di normalità e di libertà opposta a un’ intolleranza aggressiva. La si volle esorcizzare con quella ipocrisia prudente: tener conto della sensibilità, meglio, della permalosità dei musulmani. (Infatti ormai abbiamo dimenticato quella bella nozione secondo cui esistono tanti islam quanti sono i musulmani, e li trattiamo all’ ingrosso, e nella versione più rigida).
Oltretutto è il momento di ripensarci, alla guerra mondiale per le vignette, mentre è aperta a Teheran la mostra-concorso mondiale per le più belle caricature antisemite. Un nuovo capitolo che ripercorra il copione - sdegno dei portavoce, intimazione a chiedere scusa, mobilitazione delle piazze, votazioni di consessi religiosi e politici, assalti a luoghi simbolici e persone - sostituendo ai disegnatori danesi il Papa: ecco la misura vera dell’ orlo sul quale ci sporgiamo.
Ancora più grottesco, se si ricordi che alla vigilia il Papa aveva sorprendentemente dedicato a quell’ episodio apparentemente placato, le vignette «blasfeme», una deplorazione del «dileggio del sacro» diffuso nel nostro mondo. Ora lo scandalo è avvenuto: vedremo quali confini saprà darsi, ma è chiaro fin da ora che il passo più triste sarebbe un mea culpa della Chiesa, o qualche suo pasticciato equivalente.
E’ escluso, per chiunque abbia la testa sulle spalle, che il Papa si sia proposto di suscitare una simile reazione, o anche l’ abbia soltanto messa nel conto. Questo mostra oltretutto che enorme distanza separi quello che agli uni sembra naturale e logico da quello che ad altri suona sanguinosamente oltraggioso. La risonanza (quella voluta e quella non voluta e ora deprecata) del viaggio tedesco conferma che mentre di Giovanni Paolo II contava soprattutto il carisma personale, del suo successore contano di più le parole.
Chi diceva le cose, in Wojtyla, che cosa dice, in Benedetto XVI. In due giorni successivi, a Monaco e a Ratisbona, il Papa ha detto (sulle interpretazioni ci si divide) due cose diverse e forse contrastanti. (Quella che segue è una mia liberissima ricapitolazione). A Monaco, che la concordanza fra i credenti nelle fedi monoteiste è un bene cui deve piegarsi lo stile di vita che espelle Dio e gioca con la relatività dei valori.
A Ratisbona, che c’ è una incolmata differenza tra religione cristiana (anzi, più esattamente, cattolica) e musulmana, che la combinazione fra fede e ragione che nutre l’ amore cristiano è incomparabile con il Dio inafferrabile e arbitrario che ispira la soggezione islamica. La citazione di Manuele II Paleologo, durissima com’ è, è tuttavia quasi un incidente nell’ argomentazione di Ratzinger, che sembra avere d’ occhio soprattutto l’ Europa.
La nostra ragione sa riconoscere la razionalità della natura, e questo è il fondamento della scienza; e sa riconoscere la razionalità di Dio. Noi siamo a immagine di Dio, il Dio dell’ islam è, alla lettera, inimmaginabile. Non possiamo figurarlo, e nemmeno figurarcelo. Capovolta, questa constatazione significa che il nostro Dio è fatto a nostra immagine, e dunque la nostra fede può essere razionale, anzi, come al Papa piace insistere, «ragionevole». Il Dio inimmaginato dell’ islam si nega alla ragionevolezza umana, e pretende solo obbedienza: ciò che può tradursi nell’ arbitrio dei suoi stessi fedeli, magari in una aggressività conquistatrice.
In questo «secondo discorso» - conterà anche che questo sia pronunciato in una università, l’ altro fosse l’ omelia durante una messa - il dialogo fra credenti e non credenti, eredi comuni del pensiero ebraico, greco, cristiano, illuminista, è infinitamente più ricco e favorito che non la comunanza obiettiva fra i credenti delle grandi fedi monoteiste.
Il centro del «secondo discorso» sta, mi pare, nella ripresa della vexata quaestio delle radici dell’ Europa, qui così pianamente allargata ad accogliere l’ ellenizzazione e lo stesso illuminismo ben temperato. Al punto che ci si chiede se una svelta Costituzione europea, invece di accapigliarsi sulle radici, non farebbe bene a formulare una dichiarazione di principii, una «carta di valori» desunta da quelle tortuose e robuste radici: siamo anche noi infantilmente permalosi, infatti.
Il «secondo discorso» del Papa è notevole e bello, tanto più per chi non riesce a immaginare una ricapitolazione organica di qualche millennio di storia umana, con un capo e un fondo, incapacità, o riluttanza, che ha a che fare con molti fattori, e anche essenzialmente con l’ assenza di Dio: la dichiarazione della morte di Dio richiese anche un pensiero e una prosa frammentari.
Se la mia lettura è verosimile, si capisce che il passaggio, benché così pregnante e puntiglioso, sul retaggio di Maometto, valesse soprattutto a mettere in più chiara luce l’ itinerario del cristiano e cattolico e della sua Chiesa romana (e della sua prossimità alla ortodossa); e che il Papa non si aspettasse, e tanto meno si augurasse la risonanza che, estratto dal suo contesto e diramato dalle agenzie dell’ intero pianeta, quel passo avrebbe avuto, fin nelle strade di Islamabad. Però è successo.
E se il Papa ha un’ influenza terrena, sebbene non così decisiva, come amico e fautore della pace e della fraternità, ne guadagna immediatamente una doppia come nemico: mancando lui solo, finora, alla trama dell’ inimicizia irriducibile concentrata nella «crociata» sionista e americana. Gli ingredienti della «crociata» sono andati tutti al loro posto, fino al capo romano.
Il leader di Hamas, Haniyeh, improvvisato teologo, ha avvertito ieri che il Papa è sempre stato sionista, e ha chiamato i suoi a scendere in piazza. Che cosa questo possa diventare nei luoghi di intolleranza, di persecuzione e di martirio - il martirio della testimonianza inerme, non il suo abuso assassino e suicida - vedremo: e vedremo fino a che punto i capipopolo islamisti vorranno sciogliere le briglie alle loro folle. E’ già successo dopo la deliberata «scoperta» delle vignette.
Lo scandalo, dunque: ce n’ era bisogno? Era evitabile? E che cosa farne, cercare di sopire e ridurre i danni, o inaugurare un diverso confronto con l’ islam, con gli islam? Come per un qualunque direttore di giornale al tempo delle vignette, sono in molti oggi a rimproverare al Papa una imprudenza, un fraintendimento del suo ruolo di Papa, cui non è concesso di parlare come un professore di teologia. Il fatto è che i professori di teologia ne parlano assai poco.
Alcuni, fra quelli che ci sono più simpatici, abitando in partibus infidelium, o comunque in periferia, come Hans Kung, sono persuasi che un Dio valga l’ altro, e comunque di un’ identità di Dio indipendente dalle sue diramazioni. Un Dio che ordini il proselitismo armato, che vieti il libero pensiero o la conversione come apostasia, che contenga tutto lo scibile e tutta la speranza del mondo nella lettera della sua rivelazione, è uguale solo a se stesso. Del resto, il Dio cristiano non è lo stesso nel tempo, e nel suo nome si è molto peccato: ma il suo legame col tempo è una differenza, oggi decisiva.
Il fatto è che il rispetto - o, quando è giusto, anche l’ aperta ammirazione - per l’ islam, si muta troppo spesso nella cautela e nell’ opportunismo con cui si trattano i bambini, e per di più dei bambini che hanno rubato il coltello da cucina. Benedetto XVI a Regensburg si è comportato un po’ come il bambino che vede il re nudo: può succedere anche ai Papi e agli ottuagenari.
Quante sono le autorità religiose o civili che abbiano voglia, o coraggio, per dire che certe convinzioni «religiose», come quelle che fanno credere agli assassini suicidi che il paradiso li attenda, sono ridicole assurdità? Ce ne sono di più, e a quale rischio, nel mondo islamico che nel nostro: una campagna di pubblicità progresso sarebbe inutile? Offensiva? Oriana Fallaci, a modo suo - davvero solo suo - l’ ha fatta. Non ci sono altri modi? Invidiare il senso del sacro, che sopravvivrebbe così tenacemente in certi popoli, fino a escludere come innaturale (e castigare) una scelta agnostica o atea, ha senso?
Anche la Chiesa cattolica si è rassegnata a lungo all’ idea che un’ alleanza fra le religioni la garantisse: qualcosa di non così dissimile da una Yalta delle confessioni. Non si può più fare. Lo impedisce «il grande abuso del nome di Dio». Lo scandalo che noi senza Dio provochiamo negli occhi dei musulmani (di quei musulmani) non sta solo in noi, ma nei loro occhi. Compiacersi di dare scandalo è ignobile; farsene zittire non lo è meno. E’ vero che ogni nostra conquista - di noi «occidentali» - è avvelenata dal suo complemento di perdita, debolezza, umiliazione di altri. Ma le cose cui impariamo a voler bene, la libertà delle donne, il rispetto per i bambini, la premura per le esistenze deboli e offese, sono il dono migliore che possiamo fare al nostro prossimo.
Fra queste cose migliori c’ è, a un tal punto di naturalezza da renderla inavvertita, la convivenza, l’ amore, la condivisione, fra credenti e non credenti, dentro le stesse famiglie. L’ espressione «teocon» è buffa, ma la dichiarazione di Oriana Fallaci: «Sono un’ atea cristiana», era bella. La conversazione ecumenica, gli incontri di Assisi, dovrebbero riuscire, mi permetto di dire, a considerare quelle cose migliori non come temi così delicati da urtare la suscettibilità degli interlocutori e consigliarne la dilazione sine die, ma come regali offerti loro. Penso che sia una condizione per sventare la bellicosità di chi dà già per persa la partita. La partita è sempre già persa: dunque si può sempre giocare.
A chi incita alla guerra contro la guerra santa, vorrei suggerire un pensiero troppo ovvio per essere pensato. Che della guerra santa la parola più tremenda non è santa: è guerra.

1.9.06

La Veronica di Manoppello

Oggi il papa Benedetto XVI ha fatto visita alla Veronica di Manoppello. Egli ha sostato in preghiera di fronte alla famosa reliquia.

Visto l’impossibilità di dare un minimo di credibilità storica e scientifica alla suddetta reliquia, si preferisce qui ricordare le parole di Benedetto XVI sul rischio di degradazione delle montagne.

Per il resto, è questione di fede.

28.8.06

Siamo ancora a cercare

In conclusione siamo ancora a cercare l’Uomo, colui che ci ha segnato.

Sì, c’è già stato un uomo che ci ha fatto vedere e credere di avere molte cose da dimostrare a noi stessi e a Dio. Quell’uomo disse che Dio è un padre; disse che è un creatore, l’origine dello spirito fecondo, che sa andare oltre quello che si vede.

Quell’Uomo è Gesù Cristo. L’Uomo ideale. Da quella conoscenza abbiamo iniziato a contare il tempo. Da quella data siamo ancora a cercare l’Uomo, colui che ci ha insegnato la dignità e l’amore.

Sono passate circa sessantacinque generazioni da Cristo; troppo poche? Quei mitocondri vivono freschi in noi. Non è appassito lo slancio spirituale, la forza ad andare oltre. Eppure continuiamo a maledire il cielo; continuiamo a pregare e sperare.

Quell’uomo muore perché condannato a morte; muore perché ha fatto la guerra. Quell’uomo muore di vecchiaia e malattie che non ha mai vinto: le pensa come il male; le pensa come Hitler e i tiranni…ma c’è qualcuno che pensava di averli sconfitti? Siamo ancora a cercare l’Uomo, colui che ogni volta impara a sue spese.
Quell’uomo siamo noi ogni volta. Quell’uomo è la nostra possibilità e insieme la nostra costrizione. Poi cosa ci sarà?
Già, caro Giorgio, poi cosa ci sarà?

23.8.06

Dio Esiste?

Ci sono taluni che asseriscono che Dio non esiste perché non si vede.

Qualcuno direbbe che io e la persona con cui sto parlando o che sta leggendo non respiriamo solo perché il nostro respiro non si vede , o che io e lui non viviamo solo perché il respiro con cui io e lui teniamo in vita il nostro corpo non si vede? Qualcuno direbbe che non esiste l’alito, e che questi può essere buono o cattivo, solo perché non si vede? Se quando c’è il freddo si fa fuoriuscire l’alito esso si vede, ma diversamente, se non c’è un riscontro su qualcuno, non si sa se quell’alito è buono, nel senso di gradevole all’impatto su un altro, o cattivo, intendendo per tale sgradevole all’impatto su seconde persone. Dio non esiste perché non si vede? Anche l’amore, il sentimento d’amore che un uomo prova per una donna non si vede, eppure qualcuno direbbe mai che l’innamoramento è tutta una invenzione, una bugia? Si può non conoscere questo sentimento, non averlo mai provato, ma probabilmente si è provato un sentimento di dolcezza per un bambino piccolo, oppure per una piccola creatura animale. Come si può dire che non esiste questo sentimento? Chiunque l’ha provato. Dio quindi, l’amore quindi, l’amore infinito, esiste. Come nel Diritto penale, fino a prova contraria (nella presunzione di innocenza): di colpevolezza in Diritto, di diniego nell’argomento presente. Gesù dice: “.lo spirito di verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce.. rimarrà con voi sempre (Giovanni 14, 16-17). C’è, ma se non vuoi provare a crederci che ci sia, non lo vedrai mai.

Tratto dal libro “Fede e fedeltà” di Sorella Angela Musolesi (da dioesiste.org)
“Fino a prova contraria“ dice Sorella Angela Musolesi. Vogliamo dare solo una prova contraria al suo ragionamento? Ieri un Turpolev 154 della compagnia russa Pulkovo è precipitato a 45 chilometri a nord di Donetsk, bilancio delle vittime 170 persone di cui 40 sotto i 12 anni. Nessun superstite.

Dove era Dio in quel momento? Ad ascoltare milioni di preghiere che persone illuminate nello spirito dalla fede gli rivolgono ad ogni ora del giorno e della notte o a creare universi da qualche parte? O peggio, molto peggio, non gliene frega niente dei nostri destini?

Io voglio provare a crederci ma lui si nega a me a tutti gli altri. E 40, 4000, 40000 bambini moriranno senza che lui abbia mai fermato questi ed altri ben più eclatanti ed assurdi stermini ed olocausti.

Per questo ho paura che non lo vedremo mai se non nella nostra necessità, questa si asssoluta, di dare un senso al tutto.

Commento ricevuto da Sorella Angela Musolesi il 2 Luglio 2007:
Carissimo, mi intrometto nel dibattito con lo spirito dialettico che avevano i greci: per amore del bello, per amore della Verità. Mi accetti o mi ci mandi subito? Sono Sorella Angela Musolesi. Vorrei un interscambio civile. Si può provare no? Chiedi dove era Dio nell’episodio del Turpolev 154 della compagnia russa, precipitato. Mettiamo che un padre vede suo figlio picchiare un altro. E non interviene. Puoi dire che perché non è intervenuto, non ha visto l’episodio? No, lo ha permesso. Lo ha permesso per ragioni che posso chiedergli e posso non chiedergli, può rispondermi e può non rispondermi. Ma non si può dire che non lo ha visto o che non era presente. Così è per quell’episodio. Dio non ha agito, ha permesso che capitasse. Però come si può pensare che uno che ha dato la vita alla gente, non sapesse cosa stesse succedendo? Chissà quanti avvisi, in quanti tempi, aveva dato prima. Incuria degli uomini? Soldi intastati invece di essere investiti in procedure di ammodernizzazione o di ispezione? Non so. Ma perché dare sempre la colpa a Dio o prendere spunto da qualsiasi catastrofe per addurne una sua assenza? Ho scritto “chissà quanti avvisi, in quanti tempi..”. Non l’ho scritto pour parler. Ho seguito da vicino casi di persone, anche ragazzi, gente che conoscevo, che sono morti. Bisogna essere molto addentro alle cose, per capirle. Spesso non lo siamo, e non per mancanza di buona volontà. Ciò a parte.. dicevo di queste persone che seguivo da vicino. Dio aveva dato loro diverse opportunità per maturare, per crescere, per evolversi: non le avevano colte. Ed era sopraggiunta la morte. E gli amici hanno insultato Dio. Si sono allontanati dalla fede perché “Dio lo ha ammazzato”. Assurdo. Ma non posso scendere nei dettagli, anche con loro. Però so con certezza che Dio aveva ragione. E’ facile dare la colpa a Dio, è difficile accettarne la sovranità su di noi e accettare che decida per noi. Soprattutto quest’ultima cosa, è difficile. Tutti noi –voi- vorremmo decidere ciò che è giusto e non giusto: o no?

La mia risposta:
Sorella Angela grazie per le tue parole.

Ti risponderò presto. Abbi fede!

15.8.06

Le domande a cui non troverò una risposta (beta)

- Esiste Dio?
- Se esiste perché non si mostra direttamente?
- Se non esiste perché nella storia dell’umanità il trascendente ha avuto un ruolo così importante?
- Il desiderio del trascendente è stato utilizzato dal Potere per soggiogare i singoli e i popoli?
- I miracoli in cosa consistono?
- Può non-credente essere un giusto?
- E sulla base di quali idealità?
- Si può essere cristiani e non credere nel Dio-padre?
(…continua…)

COMMENTO Ricevuto (su altro Blog)

Sono Sorella Angela Musolesi.
Vorrei intromettermi con qualche risposta.
Dio esiste? Sì
Se esiste perché non si mostra direttamente?
Per farti capire da un sordo come fai? Impari la sua lingua, gesticoli come lui capirti. Cioè. Devi adattare il tuo agire a lui, se non sei identico a lui. Dio è spirito, noi abbiamo un corpo. Perché ti aspetti di vedere un corpo da uno spirito. Dio è infinito amore. Essendo spirito, di solito si mostra indirettamente, cioè agisce sulla mente e sul corpo delle persone. Attraverso essi agisce nel mondo. Attraverso le persone buone, che agiscono in comunione con Lui, Dio si incarna.
Si è incarnato in modo “forte”, particolare, anche tanti anni fa, in un uomo che la scrittura Sacra chiama Cristo. In quel caso Dio si è mostrato direttamente, guarendo tanti all’istante e resuscitando dai morti uno che era morto da 4 giorni. Ogni tanto il Cristo si fa vedere anche adesso, e si è fatto vedere nel corso dei secoli, con il suo corpo di carne, a dei Santi, a gente che di solito credeva in lui, ma talora anche a gente che non credeva in lui, diventata poi Santa dopo che lo ha visto. La Chiesa non ha preso queste persone per dei visionari, o per dei tossici che hanno preso delle sostanze alteranti, tanto che li ha proclamati Santi. Adesso quelli lì lo vedono sempre. Noi….potrebbe capitare anche a noi: molto dipende da noi, qualcosa anche da Dio.


Altra domanda: il desiderio (?). Risposta: Qualche volta sì
I miracoli in che cosa consistono? In ciò che è impossibile alla scienza, alla medicina, alla psicologia. In ciò che supera e trascende la natura.
Per i miracoli eucaristici ti consiglio di vedere nel nostro sito www.dioesiste.org sotto “miracoli eucaristici“

11.8.06

Cosa significa pensare

Si può arrivare a capire che cosa significhi pensare solamente quando siamo noi stessi a pensare e per poter arrivare a pensare dobbiamo essere pronti e ben disposti ad immergerci in questa attività che più di ogni altra ci distingue dalle fiere; proprio come loro, anche noi abbiamo un corpo, anche noi proviamo degli impulsi biologici, anche noi viviamo: ma ciò che solo noi possiamo fare e anzi dobbiamo fare, per porci su un gradino incommensurabilmente superiore, è pensare, interrogarci su ciò che ci circonda e, soprattutto, sulla nostra esistenza, che schizza via in ogni istante ed è incontenibile tanto più si cerca di capirla, proprio come l’acqua ci sfugge da ogni parte quando proviamo a stringerla in mano.

Nel pensare risiede la dignità degli esseri umani e, a maggior ragione, non dobbiamo far finta di niente, perché come uomini la questione ci riguarda tutti: e il pensiero padre di tutti gli altri è quello filosofico, poiché tenta di interpretare la realtà, nella quale a pieno titolo rientrano tutte le altre forme di pensiero (la matematica, la fisica, la storia, ecc.); la filosofia è al di sopra di ogni altro pensiero perché non si limita al tentativo di illustrare il funzionamento della realtà, ma tenta anche di spiegare perché la realtà proceda in quel modo e nel far ciò fa leva sulla ragione, cioè sulla facoltà che più di ogni altra è tutta nostra: la fisica prova ad interpretare il mondo, la religione prova a motivarlo avvalendosi di espedienti extra-razionali; la filosofia, dal canto suo, prova a interpretarlo e a motivarlo basandosi esclusivamente sulla forza della ragione, poca magari, incapace di gettar luce su ogni cosa, ma tanto più apprezzabile se si tiene in considerazione che è l’unico baluardo conoscitivo di cui disponiamo, l’unico faro a cui far riferimento nel nostro percorso.

La filosofia rifugge dai postulati e in ciò risiede la sua grandezza: non accetta nulla per scontato, nè che per due punti passi una sola retta né che il mondo esista o sia stato creato da Dio; non solo prova a risolvere problemi, ma ne solleva anche di sempre nuovi, senza mai accontentarsi dei provvisori traguardi cui è pervenuta. Ogni volta che chiarisce un problema, quasi per insoddisfazione, apre nuovi fronti, semina nuovi dubbi e subito si getta a capofitto per risolverli. Ed è proprio nella capacità di seminar dubbi più che di raccogliere certezze che si rivela diversa da ogni altra disciplina: solo partendo dai dubbi e sollevandone di sempre nuovi si potrà giungere a qualche fioca certezza; se si parte da certezze si fanno conquiste che poggiano su fondamenta instabili, poiché come assolutamente certo non bisogna prendere nulla, ma bisogna muoversi con circospezione e con assennatezza, vagliando ogni singola ipotesi con la propria ragione, senza credere, ingenuamente, che la verità stia sempre e solo da una parte.

Ma la filosofia ha, secondo me, il dovere di interrogarsi sulla realtà di ogni giorno, per provare a risolvere questioni pratiche, senza avvitarsi su riflessioni sganciate totalmente dal mondo che ci circonda; una filosofia che invece scivolasse nei meandri dell’astrattismo più radicale e si scatenasse in fantasmagoriche descrizioni di realtà che non sono quelle umane andrebbe respinta con impeto, in quanto l’uomo è pensiero calato nella materia e deve pertanto tenere sempre conto del mondo materiale di cui è parte integrante e deve provare a conferirgli una chiave di lettura accessibile a tutti gli altri uomini. Proprio in questo risiede la specificità del pensiero filosofico: nel sollevare dubbi (e nel provare a risolverli) su tutto ciò che riguarda l’uomo e le sue realizzazioni. Pertanto la filosofia non è un sapere autonomo, dotato di suoi oggetti specifici e inaccostabili a quelli delle altre discipline: tutti gli altri saperi sono anzi suoi figli, in quanto tutti mirano, in diversi modi e dietro maschere differenti, a raggiungere un barlume di sapere in diversi campi e la ricerca del sapere è prerogativa peculiare della filosofia.

Può poi anche chiarire le altre discipline e i loro oggetti: la matematica lavora coi numeri senza, propriamente, chiedersi che cosa siano; spetta alla filosofia condurre un’indagine sulla loro essenza e sul loro significato, tanto più che se non si provasse filosoficamente ad interpretare il significato dei numeri, che senso avrebbe la matematica? Ma la filosofia può anche essere intesa come un ponte di raccordo tra le altre discipline, come un punto di riferimento costante a cui volgere lo sguardo quando ci si sente disorientati: la fisica legge il mondo in termini matematici, ma è solo la filosofia che può chiarire (o almeno avanzare delle ipotesi) il perché.

Questi sono alcuni dei tanti motivi per cui vale la pena sottoporsi all’insegnamento della filosofia, insegnamento che però non deve essere impartito come filastrocca mnemonica dei vari filosofi né come un oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una verità definitiva. Proprio per questo lo studio dei vari filosofi va presentato come modello di pensiero a cui ispirarsi, non come verità indiscutibile dalla parte della quale schierarsi fanaticamente e fare il tifo, tanto più che la maggior parte dei sistemi filosofici elaborati nel corso della storia, letti in trasparenza con il senno di poi, risultano rigurgitanti di errori; se un matematico o un fisico commettono un errore nell’elaborazione di un teorema sono destinati ad inabissarsi sui fondali dell’oblìo, mentre ancora oggi si continuano a studiare filosofi i cui sistemi sono traboccanti di errori, ma il cui merito risiede appunto nell’essersi sforzati di conferire un senso al mondo intero, spiegandone i motivi e le modalità.

La filosofia non va dunque intesa come un mero arricchimento culturale, come uno strumento per pavoneggiarsi tra saccenti, ma, viceversa, deve essere un mezzo per incentivare e propagandare il pensiero, per dare spunti per la riflessione, per far nascere nuovi individui che non si riducano a fare il tifo per Kant piuttosto che per Hegel, ma che provino a dare nuove interpretazioni del mondo, tenendo conto delle riflessioni e degli errori di Kant e di Hegel e, in generale, degli altri filosofi del passato. Naturalmente, poiché tutti gli uomini in quanto uomini dispongono della facoltà del pensare, forse la più piacevole tra quelle di cui siamo dotati, è bene che tutti abbiano la possibilità di entrare in contatto con la filosofia, la quale non deve dunque essere intesa come attività riservata a pochi eletti, ma come prerogativa di ogni uomo, poiché ciascuno di noi, a modo suo, è filosofo e agisce nel mondo ispirato da una propria e personale concezione della realtà. Insegnare a pensare, probabilmente, è impossibile: la prova forse più lampante di questa asserzione è rintracciabile nel fatto che buona parte delle persone che escono dalle scuole sono totalmente incapaci di pensare con la propria testa, mentre uomini che non hanno mai avuto modo di frequentare gli ambienti scolastici e i professori preposti all’insegnamento sono in grado di formulare pensieri di straordinaria profondità.

Il professore di filosofia, pertanto, non può insegnare a pensare, ma può suscitare l’interesse a pensare, può, facendo accostare gli allievi alle grandi riflessioni della storia, indurli a volersi interrogare su ogni cosa. In altri termini, con la facoltà del pensiero ci si nasce, la si può solo affinare e a questo servono i professori.

(da filosofico.net)

1.8.06

Coltivare il dubbio

Non esiste la verità assoluta ed indiscutibile. Tutto è relativo allo stato della conoscenza e alla coscienza di questo stato.

L’unico atteggiamento che ci può difendere dalle verità “assolute” è il dubbio. ll dubbio ricercato ed eretto a scudo contro lo sfruttamento (colpevole) dell’ignoranza (che in se non è una colpa) e contro le distorsioni-manipolazioni-mistificazioni della realtà che avvengono in forme sempre più raffinate e globalizzate.

Un’esistenza basata sul dubbio è irta di ostacoli al contrario di una fondata sulla "verità che illumina il cammino", eppure solo il dubbio appare immune dall’illusione della verità.

Ovviamente l’uomo che ha delle certezze si ritiene fortunato in realtà è doppiamente fortunato l’uomo che coltiva il dubbio. Il primo va incontro a pericolosi fanatismi o alla disillusione l’altro se usa la ragione va incontro ad una empirica visione della sfaccettata realtà.

Parcheggio 64 (p64.pietrob.net) coltiva e sollecita il dubbio.

(Updated: 30/1/2007)